Tutti abbiamo sorriso almeno una volta davanti ai 7 nani che fischiettando andavano a lavorare felici e contenti in miniera; chissà quanti di noi hanno un parente che in passato è emigrato in Belgio ed è stato impiegato nelle miniere. Possiamo solo immaginare cosa possa significare lavorare in un contesto simile, ma solo provando a scendere negli inferi ci si può fare una vaga idea.
Durante il mio viaggio più lungo, attraverso il Perù prima e la Bolivia poi, nel mio itinerario non potevo esimermi dal visitare le miniere di Potosì, la città dell’argento.

Dallo splendore al decadimento
La città, fondata a metà del 1500 proprio in seguito alla scoperta di grossi giacimenti del prezioso metallo, ebbe un periodo di splendore che la trasformò in una delle città più ricche delle Americhe; come ogni giacimento, quindi esauribile, Potosì subì un lento declino con una forte diminuzione della popolazione e impoverimento di quella restante.
Tuttora dai giacimenti si continua a tirar fuori argento e altri metalli e, nonostante non ci siano più schiavi e conquistadores, le condizioni di lavoro restano disumane.
Pertanto il motivo principale della mia visita in città era proprio quello di visitare le miniere. Grazie ai consigli della mia inseparabile Lonely Planet e alle conferme della gentilissima blogger di “Nata con la valigia“, ho scelto l’agenzia “Big Deal Tours”, composta da ex minatori.
Una visita ad una miniera non è un’esperienza per tutti. Forse neanche per me.
Una giornata da ricordare
Il giorno successivo alla prenotazione della nostra visita ci rechiamo alle 8, come da accordi presi, presso l’ufficio. Insieme a noi una coppia di brasiliani e un’altra con un nostro connazionale giramondo trapiantato in Argentina insieme alla sua ragazza francese. Ci rechiamo dapprima presso un loro deposito, dove il primo step per poter visitare le miniere di Potosì è la vestizione: ci viene consegnato una tuta, un casco da minatore con tanto di torcia sulla parte frontale e uno zainetto per gli effetti personali.

“Regali” graditi dai minatori…
Il secondo step prevede uno stop in un negozio di minatori, dove acquistare oggetti da donare ai lavoratori: alcool puro (sì, avete letto bene), foglie di coca e… dinamite! La seconda visita è presso un centro dove dalla pietra scavata si separano e ricavano i diversi materiali e poi arriva il momento tanto atteso: l’ingresso in miniera.

Salutare “el Tìo”
L’ingresso e i primi passi sembrano proiettarti in un film alla Indiana Jones; un cunicolo buio, con binari che forse portano all’inferno, travi in legno che sembrano doversi fare carico del peso dell’intera montagna sovrastante. I cunicoli in alcuni tratti iniziano ad abbassarsi (santo casco!) e l’aria a farsi più umida e pesante. Il buio e la polvere regnano sovrane, una sosta davanti a El Tío ci rigenera. E’ una statua raffigurante un demone, signore degli inferi e dio delle montagne. I minatori, devoti a lui, offrono foglie di coca, alcool, sigarette per avere la sua protezione.


Forza sovrumana
Salutato “lo zio”, il nostro cammino prosegue verso cunicoli oramai più bassi di noi e ancora più umidi. Dopo una curva ci attende il nostro primo incontro: un uomo, più che cinquantenne, a torso nudo, riempie con la pala la sua carriola, con la forza e la veemenza di un ventenne. Completamente fradicio di sudore, mastica nevroticamente foglie di coca, una prerogativa per poter lavorare qui; sorridendo ci dice che lavora in miniera da 33 anni, non disdegna una mano da parte nostra per trasportare la carriola carica e pesante.

Più in là ad attendere il carico ci sono due uomini con il più classico dei carrelli da miniera. Non riesco a fare più di due scatti senza dover pulire l’obiettivo dalla patina d’umidità; l’aria è pesante e dopo aver trasportato una sola volta una carriola per pochi metri, mi sento stanco e affannato come se avessi fatto 10 piani a piedi.

Visitare le miniere di Potosì è impegnativo
Ci congediamo dal minatore che, tra chiacchiere e sorrisi, non smette mai di lavorare lasciando trapelare che non ha tempo da perdere.
Proseguendo arriva il tratto più impegnativo: un cunicolo di circa 70 metri, in discesa, in cui si procede seduti o a carponi. Superato l’ultimo vero ostacolo, il percorso è tutto in “discesa”. I cunicoli ritornano ad altezza uomo, la temperatura si abbassa. Noi non incontriamo più altri minatori, li troveremo tutti fuori impegnati in una riunione.

La visita di una miniera è un’esperienza che non ripeterei ma che sono felice di aver fatto; non è per claustrofobici, per asmatici, per chi soffre d’ansia. Se deciderete di visitare le miniere di Potosì, l’annovererete tra le più interessanti del vostro viaggio in Bolivia.

Non è tutto argento quello che luccica
E’ proprio il caso di dire: non è tutto argento quello che luccica. Spesso questa condizione viene presentata come drammatica, uomini costretti a lavorare in miniera, in condizioni pessime, spinti dalla necessità di lavorare, motivati dalla mancanza di alternative. Le agenzie stesse enfatizzano questa situazione ma a quanto pare la situazione reale non è proprio questa.
La sera successiva alla visita ci accomodiamo in un pub per sorseggiare una birra; il proprietario è giovane ed affabile e si siede con noi per fare una chiacchierata. Solite domande di rito sul nostro viaggio, la durata, le tappe, prima di passare alle nostre di domande: qualche curiosità sulla vita da minatore. Il ragazzo ci racconta di averci lavorato in passato, per 7 anni, per potersi pagare gli studi nell’università di Sucre.
La situazione presentataci è ben diversa dalla realtà: molti uomini scelgono di lavorare in miniera, anche con turni massacranti, spinti dalla speranza e dalla bramosia di poter “svoltare” la propria vita. La remota possibilità di trovare ancora filoni d’argento spinge questi uomini a lavorare con turni infiniti, nella speranza di trovare quel giacimento che gli permetta di non lavorare più.
I pochi “fortunati”, spesso vivono poi una vita dissoluta, spendendo le proprie fortune in auto, alcool…e donne, noncuranti della famiglia che da lì a qualche anno potrebbe ritrovarsi (molto probabilmente) senza il capo famiglia (la percentuale di decessi per malattie respiratorie è molto alta tra i minatori) e di conseguenza senza un reddito.
Se avete bisogno di altre informazioni utili su come visitare le miniere di Potosì, visitate la mia pagina Facebook e non esitate a scrivermi su Messenger.
Se la Bolivia è tra le tue prossime mete, in questo articolo potrai trovare tutte le info per organizzare il tuo viaggio in autonomia.
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